Einmal ist keinmal. Tomas ripete tra sé il proverbio tedesco. Quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto. Se l’uomo può vivere una sola vita è come se non vivesse affatto”
Milan Kundera, l’insostenibile leggerezza dell’essere

Ci hanno invitat* alla preview di Art Verona e noi ci siamo andat* con gratitudine. Certo al solito la pigrizia ha fatto sì che, diversamente dai siti seri, non ci siamo messi a scrivere nottetempo per dare delle indicazioni, ma abbiamo masticato e rimasticato quanto visto prima di iniziare. Eppure quelli che seguono non saranno altro che appunti, mentre pensiamo di fare una sintesi più approfondita sulle cose viste in varie manifestazioni a fine anno.
E quindi ecco qua:
Contraddizioni:
Se entrando in fiera avete chiesto delle indicazioni vi avranno risposto che a sinistra c’era il contemporaneo e a destra il moderno/storicizzato. Noi siamo andat* a destra, perché ci intrigava la diversità, rispetto ad altre fiere, di questa opzione. Solo che entrando abbiamo indugiato sul primo lavoro che ci ha colpito e abbiamo scoperto esser del 2022. Il secondo del 2021. Solo qua, nel moderno, abbiamo visto una galleria che esponeva degli NFT. Quindi qualcosa non torna.
L’ambito in cui stiamo è quello del Mercato italiano. Per quanto possa avere senso dire così, in ogni caso nella sezione principale abbiamo visto non più di 3 gallerie con sede estera, mentre tutte le altre, che poi magari hanno filiali in giro per il mondo, fanno capo all’Italia. Perciò essendoci 117 espositori pensiamo si possa dire è stata una vetrina abbastanza completa.
Consuetudini:
Non c’era nulla che uscisse dal recinto classico pittura/scultura. La sperimentazione si racchiude entro un rettangolo appeso al muro. Non video, poche installazioni, alcune immagini tratte da performance. La grande parte dell’esposizione rimane quadro, foto, scultura. Senza che questo sia una critica, poiché ci può essere una grande ricchezza innovativa anche senza esibire reti neurali. Evidentemente, però, uno dei pregi della fiera di Verona è di essere essenziale: il Mercato richiede questo. Tutto sommato non è spiacevole, perché nell’ambito ristretto di cui parliamo abbiamo visto tanti lavori molto belli, una ricerca spesso più raffinata. Certo rimane in molti casi un senso di già visto, di già vissuto, soprattutto visto che dall’altro lato del corridoio principale c’era il padiglione cosiddetto moderno che ti ricordava perché.
Cose belle:
Sparse, ad impressione, quel che abbiamo fotografato lungo la giornata:
Galleria Bonelli : Silvia Inselvini si dedica con dedizione a farci capire la nostra fatuità e la sua perseveranza. O meglio come affrontare degnamente il trascorrere del tempo, attraverso disegni fatti con penne bic blu e nere, che filtrano l’una nell’altra tramite sequenze di riquadri dipinti giustapposti. Memento mori.

Cardelli e Fontana : L’opera di Marco Baricchi Selva s’intitola e selva è. Ma una selva priva di elementi figurativi in senso stretto e nemmeno granché simbolica. Il ricordo della foresta, chissà quanto lontano, viene utilizzato per dare evidenza al gesto pittorico e, probabilmente, il fatto che non sia un senza titolo ma evochi qualcosa cui l’artista è legato sta a dire che la riflessione non è sulla pittura in generale ma sulla sua arte.

Villa contemporanea: Anna Turina, if you. Visto ce n’erano poche mettiamo almeno una installazione. Quello che ci ha colpito, a parte ovviamente la frase al neon, è l’utilizzo di materiali come il sasso ed una certa eleganza compositiva.

Prometeo gallery di Ida Pisani: di per sé andrebbe segnalata tutta quanta, per storia e artisti rappresentati (Galindo, Santiago Sierra etc). All’esterno, ad esempio, campeggiava una foto trattata da La sombra, performance del 2017 di Regina Josè Galindo ma noi segnaliamo Tiziana Pers, Municeddhe. Perché? Intanto perché spiega come mai bisogna avere simpatia per la Prometeo, essendo una delle poche gallerie presenti che pone attenzione all’allestimento. In questo caso si vede la ripresa del movimento a spirale nella collocazione dei lavori e non è male. Poi perché è inutile citare Deleuze e il divenire animale, come ci capita qua e la’ anche in questo sito, senza valorizzare la politicità della critica antispecista. In ogni caso si parla di Mercato: Gli animali dei suoi lavori sono infatti salvati tramite lo scambio con un’opera e ciò pone la questione se si possa dare un valore economico a un vivente e di conseguenza al lavoro con cui lo si scambia.

Zamagni Arte : visto che fino ad ora abbiamo citato solo gallerie della main section, ne indichiamo almeno una della sezione Curated by, affidata a Giacinto di Pietrantonio. In questa sezione dovrebbe venir sviluppato un rapporto tra gallerie e curatorori/curatrici, in quanto figure essenziali nella valorizzazione del contemporaneo. Ci piacerebbe molto dire che il tentativo è riuscito, ma, per quanto con una evidente maggiore attenzione all’uso degli spazi, onestamente non c’è grande differenza rispetto alle altre gallerie. La Zamagni la segnaliamo quindi per i due artisti impegnati: Giovanni Gaggia, che presenta un arazzo (!) composto dalle riunione delle bandiere Russa e Ucraina ed Edoardo Cialfi, che usa la tecnica dell’aerosol su tela, che rende i suoi paesaggi molto materici.

Cose non belle
Di meno di quelle positive, in quanto non sarebbe carino dire i lavori che non ci sono piaciuti.
Certamente il senso di già visto che scrivevamo all’inizio. Molte gallerie non hanno, diciamo così, la propensione all’innovazione nemmeno formale. Probabilmente cercano di vendere attraverso meccanismi di rassicurazione.
La mancanza di cura, che non si manifesta nemmeno quando inserisci i curatori, come detto, che ostentano moltissime gallerie, i cui spazi diventano eterogenei, variopinti bazar. Certo siamo ad una fiera, non è che ci si aspettano 117 mostre allestite come si deve, ma neppure, visto che parliamo di arte, che spesso ci siano oggetti poggiati/appesi qua e là senza caratterizzazione.
I soldi evidentemente girano ancora dalla parte del moderno. Atteggiamenti, vestiario, età dicono che chi davvero compra continua ad essere più attratto dal 900. Non a caso le uniche didascalie che riportavano il costo dell’opera si trovavano in quel padiglione. E così se potevamo comprare un Isgrò sapevamo che avremmo speso 100.000/200.000 euro, se invece volevamo comprare qualcosa nel padiglione contemporaneo ci dovevamo avvicinare al gallerista che, come uno spacciatore, ci avrebbe preso da parte dicendo “A voi faccio 15”.
Probabilmente sono tutti segni di una stanchezza del Mercato, che spinge ai beni rifugio più che ad osare e quindi le gallerie tendono ad accontentare un gusto più tradizionale, appunto già visto.

Superfluo
Visto ci siamo fermat* solo un giorno non abbiamo potuto partecipare a molti eventi e talk, però a SUPERFLUO abbiamo conosciuto il NONE collective, gruppo italiano di artisti che s’interessano al rapporto tra gli umani e le macchine, inteso come tecnologie. Siccome abbiamo detto c’era solo pittura, ci piaceva segnalare la loro installazione commissionata da Pasqua vini (e già la commissione è una cosa carina). Un lavoro site specific molto coinvolgente. Se andate sul loro sito, come vi consigliamo, capirete che cosa intendiamo.