Gabriela Galati è docente di Teoria e Metodologia dei Mass Media  e di Estetica dei New Media presso NABA, Nuova Accademia di Belle Arti Milano e presso IED, Torino. In passato ha insegnato Metodologia della ricerca presso l’Università di Buenos Aires, l’Università del Museo Sociale Argentino e Media Art Theory presso Domus Academy, Milano. Ha pubblicato Duchamp Meets Turing: Arte, modernismo, postumano (Postmedia Books, 2017), scrive recensioni su arte, filosofia, scienza e tecnologia per Leonardo Reviews / Leonardo Journal (The MIT Press), e collabora regolarmente con AdVersus, Leonardo Journal, Acoustic Space Journal e Mimesis Scenari per pubblicazioni scientifiche. Attualmente sta curando per Mimesis Scenari i numeri #10 e #11 dedicati al tema arte e postumano, e il volume Ecologie complesse: Pensare l’arte oltre l’umano sullo stesso tema in uscita alla fine del 2019 per Meltemi. È fondatrice della piattaforma curatoriale ECCENTRIC Art & Research e ha ottenuto un dottorato di ricerca (Ph.D.) presso l’Università di Plymouth.

Abbiamo incontrato Gabriela Galati leggendo il suo testo “Duchamp Meets Turing”. Ne abbiamo discusso tra noi e abbiamo pensato sarebbe stato bello farle qualche domanda. Gabriela è stata così gentile da risponderci.

Per inquadrare il contesto iniziamo con alcune definizioni:

Duchamp land: arte orientata verso gli oggetti finiti, sostanzialmente autoreferenziale, autoironica, complicata e orientata al contenuto

Turing land: arte semplice, priva di ironia, incentrata sulla forma e rispettosa del proprio medium (inteso come dispositivo)

VediTu: Nel tuo libro risulta centrale il ready made. La scelta ci sembra un po’ riduttiva rispetto ai percorsi dell’arte attuale. Ci spieghi meglio perché questa opzione preso atto che comunque anche altre forme d’arte indagano lo stesso problema?”

GG: Considero il ready made, insieme a Thierry De Duve e successivamente anche a Rosalind Krauss, ciò che ha reso possibile ciò che De Duve chiama “arte in generale”: l’arte senza l’imperativo di un media specifico, superando la posizione modernista. Non ci sono più “pittori” o “fotografi” ma artisti-in-generale. Ciò che propongo è che si è persa l’opportunità di considerare e teorizzare l’arte cibernetica o dei nuovi media, comunque la si voglia chiamare, in continuità con le teorizzazioni dell’arte-in-generale, quindi di ciò che nel libro chiamo arte tradizionale, o “Duchamp-Land” (citando Manovich). Perché il readymade, e l’opera di Duchamp in particolare, hanno già ampiamente trasmesso e implicato in qualche modo tutti i tratti di un approccio post umanistico all’arte. Quello che propongo quindi è che il readymade può aiutare a capire perché questa opportunità è andata persa e come risolvere questo errore rendendosi conto esattamente che la separazione, la dicotomia, tra umano, non umano, organico e inorganico non esiste. La differenza potrebbe essere sottile, ma è rilevante,

VediTu: Nello sviluppo del libro citi alcuni artisti e ne analizzi il lavoro, come quello di Amalia Ulman su Instagram del 2014. Non essendo un’enciclopedia e per coerenza di ragionamento non tocchi altre esperienze che comunque riguardano il post umano come ad esempio la Net art, in cui spesso si mettono in relazione le macchine stesse, o gli artisti che intervengono direttamente sul proprio corpo come Stelarc o Orlan. Ci dici qualcosa a riguardo o, se vuoi, ci segnali tu stessa artisti/e che non hai affrontato nel libro?

GG: Si, come segnali, giustamente il libro non è una enciclopedia, ma un libro sulla teoria dell’arte, per cui cito alcuni esempi di artisti contemporanei, ma anche di artisti del Barocco. La mia concezione di postumano non è una concezione cronologica, tanto meno una categoria artistica. Intendo dire che ci sono tante opere di net.art che non considero “postumane” (per esempio, tutta l’ascii art). Su Orlan e Stelarc hanno scritto prima di me autori stupendi come Antonio Caronia, e un po’ più recentemente Joanna Zylinska, li consiglio senza dubbio. Un giovane artista che ho avuto la possibilità di conoscere poco tempo fa e uno degli artisti più interessanti che abbia trovato ultimamente è Marco Donnarumma 

Su un’altra versione di quello che potremmo chiamare la ricerca artistica sulla condizione postumana, o semplicemente arte postumana, m’interessa molto il lavoro della coppia svizzera !Mediengruppe Bitnick, e dell’artista e teorica Joanna Zylinska di cui ho parlato prima. Anche il lavoro di Trevor Paglen è sempre solido e interessante, ma lui è stato accettato (da tempo) nella Duchamp-Land.

Veditu: Trattando di postumano molti testi discettano a lungo sul senso del termine, sulle sue implicazioni e poi d’improvviso, con un salto logico, viene detto che la riflessione riguarda il vivente in generale. Citando: “animali umani e non umani, vegetali, e perché no, anche forme considerate semi-viventi, come ad esempio i virus”. Ora, intuitivamente, uno/a potrebbe anche essere d’accordo, però ci piacerebbe se trattassi la connessione tra postumano e biocentrismo.

GG: Roberto Marchesini lo ha fatto in un modo brillante e sicuramente molto più profondo di quello che posso fare qui nel suo libro del 2002: Posthuman: verso nuovi modelli di esistenza (recentemente tradotto in inglese) in cui spiega molto bene l’errore della separazione tra natura e cultura e se volete, tra animali e tecnologia (e non solo animali umani). Il panorama tra vivente, non vivente e tecnologia è complesso (sarà l’argomento del mio prossimo libro ma ne ho scritto anche in alcuni articoli recenti e in varie riviste (Journal, Scenari).

Non c’è alcuna differenza tra una prospettiva postumana che comprende la costituzione di soggettività nel costante intreccio con le tecnologie e una prospettiva postumana che considera gli animali umani privi di qualunque forma di supremazia sul resto degli essere viventi o inorganici. Per quanto riguarda le più recenti e più attuali prospettive postumane, in particolare quelle basate su OOO, vanno oltre il biocentrismo includendo nel loro orizzonte postumano anche l’inorganico (vedi ad esempio Timothy Morton, o anche a volte Felice Cimatti). Questo è ovviamente importante per poter considerare la complessità dal punto di vista ecologico e ambientale (il caso di Morton). Il motivo per cui ho affrontato personalmente solo la relazione tra uomo e tecnologia (e perché spesso sia teorici che artisti scelgono di farlo) nel mio libro è solo a causa della necessità di limitare l’area di studio e dell’interesse personale al tempo. Ora sto espandendo la mia ricerca nella speranza di delineare un paesaggio più complesso e, se possibile, leggermente più completo.

Veditu:  Nel tuo libro, come pure in altri testi, richiami un algoritmo presente nei telefonini che prende le nostre foto, le confronta con le altre foto simili che abbiamo fatto e che abbiamo pubblicato sui social e con quelle che ci sono piaciute e le modifica per adattarle, magari impercettibilmente, al nostro gusto. Questo ci porta al tema della funzione tutto sommato spesso conservativa delle tecnologie, che poi è la stessa cosa che banalmente ci capita con google, che imparando a conoscerci, nelle ricerche (e nelle pubblicità) ci fornisce quello che pensa ci piaccia di più. E’ possibile fare, oggi, esperienze nuove essendo immersi in questo continuo farci apparire solo ciò che ci piace?

GG: Penso che sia possibile, ma dobbiamo cercarle. Potrebbe essere più difficile di prima. È necessario cercare e lavorare su fattori casuali. Quando seguo tesi su questo tipo di argomenti, cerco di spingere gli studenti a capire il problema e, se stanno pianificando di costruire una nuova app, ad esempio, a prendere in considerazione l’idea di progettare un modo per trovare nuove e inaspettate possibilità. E per convincerli a perdersi non solo in una rete di collegamenti web, ma in librerie e spazi fisici. Non è solo una mia idea, ma è una concezione del détournement di Debord, come un modo per perdersi volontariamente quando si cammina per le città o il flaneur / flaneuse (camminare come un modo di appropriarsi di nuovi spazi). Inoltre, nel mondo digitale, cerco di non seguire gli algoritmi di Amazon per trovare nuovi libri (che ovviamente possono anche essere utili), ma preferisco il vecchio modo: scoprire nuovi autori e idee seguendo quelli citati nelle note a piè di pagina. Se i libri sono digitali o no non è rilevante per questo.

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Veditu:  Il nostro collettivo è nato scrivendo il Manifesto per un’arte commerciale, che trovi sul nostro sito. A parte l’intento evidentemente provocatorio, rimane il fatto che noi, con il nostro lavoro di collettivo, ci dedichiamo a verificare come il Mercato influisca sulle nostre vite ed in particolare al suo effetto sull’arte contemporanea, che come tutta l’arte a un certo punto dev’essere venduta. Nel tuo testo di questo non si parla granchè, tanto che i vari passaggi sembrano susseguirsi come una sorta di sviluppo dello Spirito. Il tema posto da Freud, che anche tu citi, che “La tecnologia è una protesi che l’umanità ha sviluppato per allargare i propri poteri” è stato superato, secondo noi, già mentre Freud lo scriveva. Può riferirsi alla nascita e ai primi sviluppi dell’umanità, ma da tempo le protesi che indossiamo sono spesso indirizzate dal Mercato, nel tempo dai Mercati, tanto da perdere la funzione originaria. Ci dici, se concordi, come il Mercato entra nello sviluppo da te descritto oppure perché ritieni sbagliamo?

GG: Prima di rispondervi dovrei chiedervi quindi che cosa è il mercato per voi, e sopratutto perché lo scrivete con M maiuscola. Lasciare il tema del mercato fuori è stata una scelta dovuta alla necessità di ritagliare un’area di studio abbordabile (sopratutto perché il libro è frutto della mia tesi di dottorato). Così come non poteva parlare di tutta l’arte, non poteva nemmeno parlare di tutti gli attori del campo dell’arte. Come ho già segnalato sopra il libro è più una critica e una decostruzione della teoria modernista e postmodernista che sull’arte stessa. Sono d’accordissimo sul fatto che la concezione della tecnologia come protesi sia ormai superata, ma nella mia opinione il mercato non c’entra niente in questo, è la teoria del postumano, e concetti come la rielaborazione del concetto di dispositivo in Foucault da parte di Agamben, che mettono in chiaro che la tecnologia è parte conformante degli animali umani e di molti non umani da sempre, quindi se mi permettete l’espressione parte della loro “natura”. In questo senso è che la concezione della tecnologia come protesi, da Freud, passando per Benjamin e poi McLuhan e seguaci vari più che superata è stata precisata (da Derrida e poi Wolfe, per esempio): siamo esseri prostetici da sempre, da molto prima che “il Mercato” emergesse.

Veditu: Tu hai una carriera accademica ma, rispetto a molti/e tuoi/e colleghi/e ti cimenti nel mercato. Collabori con gallerie, hai un tuo spazio (eccentric), curi mostre. Ci racconti queste tue esperienze, in particolare della “gestione” del tuo spazio e di come ti trovi rispetto alla questione del dover vendere. Riesci a far confluire le tue ricerche in questo mondo, ad esempio nella scelta degli artisti? Se puoi dirci qualcosa, quali saranno le tue prossime mostre?

GG: Si, come carriera è abbastanza atipica la mia. In effetti, che la mia piattaforma si chiami ECCENTRIC ha un motivo: conciliare ricerca accademica con il ruolo di gallerista commerciale non è tanto abituale, e sopratutto è guardato con sospetto entrambe le parti. In un certo senso, anche osservare questo ha ispirato il mio libro. Comunque nel mio lavoro entrambe le dimensioni si retroalimentano, lavorare con artisti, parlare con loro, studiare le loro ricerche anche per capire come promuoverli a livello istituzionale e di collezionismo stimola anche la mia ricerca, e viceversa: cerco artisti che trattino certi temi in certi modi. Per esempio, da che ho finito il dottorato sto affrontando sempre di più, in mostre e testi, il tema del vivente nell’arte. Anche se poi in realtà la prima artista che mi ha inspirato in questa direzione è una delle prime che ho conosciuto quando ancora studiavo a Buenos Aires, Ivana Adaime Makac. Come dice Cary Wolfe, la condizione postumana non è cronologica, il postumano non è un momento storico che viene dopo qualcosa, e una ricorsività, e questo lo vivo in prima persona nel mio lavoro e nella mia ricerca. Per quanto riguarda nuovi progetti, in effetti, anche se ho quasi sempre lavorato nel mercato dell’arte, cioè per gallerie commerciali, la mia attività è stata sempre principalmente curatoriale. Considero di avere “un buon occhio” per quello che funziona nel mercato, quindi so scegliere gli artisti considerando anche questa variabile, ma non ho l’energia sufficiente per occuparmi allo stesso modo delle vendite. è per questo che a partire dalla esperienza di ECCENTRIC sto lavorando insieme a due soci super talentuosi e una giovane esperta in comunicazione a un nuovo progetto di galleria IPERCUBO su cui non posso dare molti dettagli perché sarà lanciato a gennaio 2020, ma la mostra di presentazione del progetto avrà luogo a febbraio, vi farò sapere!

Veditu: In una precedente intervista dicevi “L’arte con l’A maiuscola, secondo me esisterà sempre, non credo nella morte dell’arte, neanche della pittura, semplicemente perché creare mondi illusori e paralleli fa parte dell’essere umani”. Confermi questa tua definizione dell’arte? Ci sembra in qualche modo confermare l’idea che molti hanno (es. Bonami) che l’arte contemporanea non sia per definizione l’arte attuale, dell’oggi, ma un movimento con delle caratteristiche identificative, una sorta di contemporaneismo, e che quindi, come gli altri movimenti storicamente dati, ad un certo punto sarà superato da una nuova arte.

GG: La mia non voleva essere una definizione di arte, non penso si possa, o almeno non penso io di poter definire l’arte. Quello che intendevo dire in quella intervista è che parte della condizione postumana consiste nel riconoscere che la produzione di senso, e questo chiaramente include l’arte, non è esclusivamente umana. Poi, non conosco il testo di Bonami, ma da quello che dici mi sembra in rapporto con il concetto di contemporaneo e inattuale di Agamben. Ad ogni modo, torno a quello che ho scritto sopra, la mi concezione di arte, come così quella di postumano, non è né cronologica né pensabile in termini di progresso: i momenti dell’arte non si “superano”, semplicemente mutano, ma anche tornano, ci sono opere e artisti sempre attuali, o attuali per molto tempo, e altri no.

Veditu: Curiosità: hai letto il manga o visto il film “Ghost in the Shell” che ne pensi?

GG: Ho visto il film di manga molto tempo fa, e di recente ho visto il remake di Netflix.La mia opinione, se mi permettete, è che è una stronzata metafisica. Già nel titolo, la concezione dualistica di una separazione tra la mente e il corpo, o di un corpo “abitato” da un’anima (il fantasma) che è indipendente da esso è esplicita. Tutto il mio libro (e prima di me tanti altri teorici molto più rilevanti, a cominciare da Katherine Hayles) mira a decostruire questa idea fondamentalmente gnostica